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lunedì 1 novembre 2010

"Piccola ape furibonda"

Un anno fa moriva Alda Merini, forse la più grande poetessa italiana degli ultimi anni, ma io non scrivo per commemorarla. Io non credo negli epitaffi. Io credo nella riconoscenza e nell'onestà di giudizio. Alda Merini moriva un anno fa sola, senza nessuna forma di sussidio, in un sottoscala ai bordi del Naviglio, dimenticata. Nelle librerie le era dedicato un barlume di scaffale, le sue poesie giacevano polverose e inascoltate. Soltanto la sua morte è riuscita a suscitare la nostra attenzione. Il suo grido, per settanta lunghi anni, è restato sospeso nell'indifferenza e nell'ignoto. L'Italia è una patria sorda, forse distratta, che si ricorda dei suoi eroi solo per inginocchiarsi al loro altare. I nostri politici dispensano solo articoli postumi e funerali di stato. Alda Merini, poetessa dal cuore grande e dalla forza espressiva immensa, che oggi è simbolo di un'eccentricità magica e drammatica, prima lo era soltanto di una pazzia fastidiosa e incompresa. La sua storia, invece, è l'emblema della nostra ipocrisia. Le verità sono scomode da accettare e Alda Merini non faceva che questo, annunciare la sua verità come una laica parola evangelica. E' stata la Francia a candidarla al premio Nobel. E' stata la sua solitudine a denunciarci e accusarci quando ci ha lasciato. Noi siamo stati soltanto quelli che l'hanno fatta soffrire, quelli che le hanno insegnato a morire in manicomi intestarditi e assassini. Sempre noi, quelli che le hanno negato la fama che si sarebbe meritata e che l'avrebbe consolata, quelli che avrebbero dovuto consacrare il volo di lei, piccola ape furibonda, e che invece l'hanno martirizzata.  

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