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mercoledì 26 gennaio 2011

Per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa...

Ci sono dei momenti in cui si ha la sensazione di non vedere al di là della complicazione, in cui la vita è tutta un grande stento e i giorni non sono più nient'altro che un alienato avvicendarsi di doveri e relazioni. 
Non si può che assistere al mondo come ad un manifesto già letto e sorpassato, ci soffochiamo nella consapevolezza della realtà e l'affondiamo nell'illusione e nel sogno. Ci assorbe l'infinito che lasciamo tutto quanto un incubo abbozzato, vogliamo farlo nostro a forza di definizioni, e allora sentiamo "assoluto", "eterno", "sconfinato" in ogni dove, sulle pubblicità di viaggi e sulle testate dei giornali. Non ci appartiene l'infinito, possiamo solo presagirlo, e difficile non è tanto saperlo ma accettarlo. Le religioni dispensano consigli ed omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa, perché sanno che il rimorso è il prezzo da pagare per credersi assolti e fingersi felici. Sono i "puri di cuore" gli eletti, senza comprendere che in fondo la purezza sta nell'autenticità e non nella costruzione di etiche e morali ultraterrene e immaginarie. Comprate l'infinito e avrete la terra. La terra è qui, di fronte a noi, tutta concreta e materiale, la terra non va cercata in altri mondi, va scoperta giorno dopo giorno nella sua muta presenza. Io credo in ciò che è vero, e non nell'improbabile, e la felicità è solo una chimera per farci derivare. Perché, citando Kant, "la morale non è la dottrina del come renderci felici, ma del come diventare degni di possedere la felicità".  

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