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lunedì 27 dicembre 2010

Gattaca:"Il migliore dei genomi possibili"

Voglio parlarvi di un film. Voglio parlarvi di un film dove non sono le scoperte scientifiche a determinare il mondo ma la capacità che l'uomo ha di gestirle. Di un film dove l'identità non si legge negli occhi ma nel sangue, dove il destino non è più destino ma programmazione. "Gattaca" è la storia di Vincent, un "nato per fede" che vive in un mondo dove gli uomini sono geneticamente perfetti, o comunque possessori del "migliore dei genomi possibili", parafrasando Leibniz. Davanti a lui, colpevole di normalità e di imperfezione, il futuro non ha prospettive, le stelle e le scienze sono un sogno lontano, la discriminazione assume tratti via via più reali e marcati. Il determinismo è la cifra del mondo e la casualità vuole essere debellata e sconfitta. Un trionfo? Il caso e la sorte hanno sempre spaventato l'essere umano e la scienza è sempre stata un eccellente mezzo per contrastarli, per capire qualcosa di più, per conoscere l'oltre. Tuttavia è il caso a salvare l'uomo. E' il caso a concedere le opportunità e a toglierle. E sarà il caso a guidare l'ascesa di Vincent, armato di nulla se non della sua volontà. Il trionfo di una laica indipendenza che non ha limiti se non nella sua stessa esistenza. La forza del sogno e del libero arbitrio. Un sogno che tocca con mano l'orizzonte e si dirige alla volta dell'infinito.

domenica 26 dicembre 2010

Ho sentito dire Natale

A natale mi rendo conto che il mondo non è altro che un grande ventricolo storto che apre le porte al conforto ma le chiude alla coscienza e alla consolazione.
A natale la città è illuminata di una luce grottesca che ruba realtà e la ricambia nell'illusione di una nuova consapevolezza.
A natale non esiste opinione perché in fondo tutto deve essere senza dubbi migliore, perché lo dice il vangelo e nessuno ne dà una motivazione.
A natale si respira la svendita dei buoni sentimenti e dell'onestà dove tutto dev'esser gratuito e poi non si fa che parlare di soldi, regali e non ditemi che questa non è venalità.
A natale la giustizia diventa un grande ricorso dove ciascuno rivendica falsi diritti e nasconde l'indifferenza sotto il nome della libertà.
A natale le famiglie s'incontrano come dopo migliaia di anni, e poi sono abbracci sorrisi parole e confidenze svuotate dove non resta che un pugno di convenzione e nemmeno un accenno di amore.
Natale non è che un ricordo, il fossile di un momento lasciato alla vita e sottratto al rimorso.
Natale è soltanto una notte più lunga di un'ora, dove il dolore si maschera di un ipocrita e falso candore.
Natale per altri è il momento dell'invidia e del rancore.
Natale per chi non ha niente è la festa di chi ha carta dorata al posto del cuore.
Natale per molti non è altro che un giorno con il suo bambino affamato che muore.

giovedì 23 dicembre 2010

Un po' di possibile sennò soffoco (Deleuze)

Quando questo mondo potrà farci sentire finalmente liberi? Libertà di pensiero e di parola. Imprescindibili, senza dubbio. Libertà di sognare. Necessaria, sì, ma fittizia. Il sogno rende tutti prigionieri, ci chiude in una cattività di irrealizzabile e impossibile. Avere grandi sogni ci aiuta a sopravvivere, ma vederli giorno dopo giorno affondati dalla realtà ci distrugge. Il sogno ci getta in un mare di orizzonti per poi farci naufragare. Siamo ubriachi di sogni. Così come di desideri. Siamo storditi dai sogni, pensiamo a volare e disimpariamo a camminare. La società ci vende sogni, nei negozi, con la televisione, nei tabacchi, tra sigarette e alcolici. Ma i sogni non hanno confezione e nemmeno la scritta "Il sogno uccide". I sogni sono come una nuvola azzurra che dispensa pace di sensi e brandelli di serenità stonata d'evidenza e d'abbandono. Ma i sogni non ci uccidono perché sono sogni, ma perché sono impossibili. L'impossibile ci abbaglia, ci trascina nella sua bellezza senza dimensioni e poi ci lascia soffocare. E i giorni diventano momenti di continui ripensamenti, un cadere ininterrotto nelle grinfie di verità dolorose da cui fuggire per dimenticare la frastornata certezza di non farcela. Forse dovremmo imparare a sognare qualcosa di possibile. Forse, questo possibile, dovremmo implorarlo e supplicarlo, come si fa con i diritti la libertà ed il pane. Questa sarà la nostra nuova rivoluzione,  questa sarà la nostra guerra e avremo come traguardo l'infinito. Perché quel giorno stringeremo in mani di speranza il nostro sogno e la sua realizzazione sarà il nostro grido.

lunedì 13 dicembre 2010

Se protesto voglio essere picchiato.

Non sono autolesionista. E non ho manie (almeno non dichiarate) suicide. Dico soltanto che sono stanca di sentire il termine diritto costantemente confuso con quello di compatente concessione. Diritto di manifestare non significa essere trattati come matti capricciosi cui basta concedere quattro vie e un paio di piazze in cui gridare, come prigionieri ciechi e affranti, il proprio perché e un mezzo destino. La protesta ha un senso nel momento in cui è percepita come un gesto forte, di sfida. E perché ciò accada deve creare scompiglio, deve provocare uno scontro. Che non significa necessariamente portare alla violenza, soltanto non evitarla. Chi protesta lancia segnali di rabbia e di contestazione, ma nel farlo non solo deve accettare, ma anche desiderare di subire delle conseguenze. Solo così il suo appello verrà ascoltato. Gli studenti occupano le scuole. Gli studenti "fanno sentire la propria voce". Niente di più falso. Il nostro è un silenzio gridato. E, perciò, inascoltato. Occupiamo e la settimana successiva ciascuno entra in classe come se nulla fosse accaduto, senza alcun rischio, nemmeno quello della critica del preside o di un professore. Facciamo un'azione illegale e la polizia ci ignora del tutto, o quasi. La verità è che siamo una generazione di protetti. La verità è che ci stanno distruggendo con una resistenza indifferente e passiva. Costantemente si sente parlare dei "mitici anni sessanta". Ebbene, negli anni sessanta la polizia sparava, negli anni sessanta gli studenti uccidevano e morivano, negli anni sessanta si finiva pestati o in carcere. Adesso noi vogliamo scendere a patti con una società che già in partenza ci ha tolto l'iniziativa. Durante le assemblee di istituto si sentono gli studenti più grandi rassicurare i più giovani dicendo di non preoccuparsi, di partecipare all'occupazione, perché tanto i professori non ti mettono cinque in condotta e non vieni sospeso tanto meno bocciato. Ebbene, è proprio per questo motivo che la situazione non cambia. Dandoci il diritto di protestare, sono riusciti a toglierci il diritto, estremamente più nobile e sacro, di soffrire per quelle stesse idee per cui lottiamo. Hanno tolto dignità a ogni nostra azione. Perché chi ha delle convinzioni forti non ha paura di mettere a rischio la propria libertà per affermarle. Perché chi ha paura o è un vigliacco, e allora non otterrà mai alcun risultato, oppure non crede davvero nei propri ideali. E il messaggio che ne deriva è che questi ideali non hanno valore, che non sono dopotutto così significativi e nemmeno troppo fondati.

PolaroidIstantaneaCeleste

Ho pensato alle ore scontate.
A quel tavolo storto che si screpola d'aria.

Tutto quanto è durato una lacrima stanca.

Ho vissuto in un tratto di pioggia
il momento del cielo rubato e della stella smarrita e nascosta.