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lunedì 13 dicembre 2010

Se protesto voglio essere picchiato.

Non sono autolesionista. E non ho manie (almeno non dichiarate) suicide. Dico soltanto che sono stanca di sentire il termine diritto costantemente confuso con quello di compatente concessione. Diritto di manifestare non significa essere trattati come matti capricciosi cui basta concedere quattro vie e un paio di piazze in cui gridare, come prigionieri ciechi e affranti, il proprio perché e un mezzo destino. La protesta ha un senso nel momento in cui è percepita come un gesto forte, di sfida. E perché ciò accada deve creare scompiglio, deve provocare uno scontro. Che non significa necessariamente portare alla violenza, soltanto non evitarla. Chi protesta lancia segnali di rabbia e di contestazione, ma nel farlo non solo deve accettare, ma anche desiderare di subire delle conseguenze. Solo così il suo appello verrà ascoltato. Gli studenti occupano le scuole. Gli studenti "fanno sentire la propria voce". Niente di più falso. Il nostro è un silenzio gridato. E, perciò, inascoltato. Occupiamo e la settimana successiva ciascuno entra in classe come se nulla fosse accaduto, senza alcun rischio, nemmeno quello della critica del preside o di un professore. Facciamo un'azione illegale e la polizia ci ignora del tutto, o quasi. La verità è che siamo una generazione di protetti. La verità è che ci stanno distruggendo con una resistenza indifferente e passiva. Costantemente si sente parlare dei "mitici anni sessanta". Ebbene, negli anni sessanta la polizia sparava, negli anni sessanta gli studenti uccidevano e morivano, negli anni sessanta si finiva pestati o in carcere. Adesso noi vogliamo scendere a patti con una società che già in partenza ci ha tolto l'iniziativa. Durante le assemblee di istituto si sentono gli studenti più grandi rassicurare i più giovani dicendo di non preoccuparsi, di partecipare all'occupazione, perché tanto i professori non ti mettono cinque in condotta e non vieni sospeso tanto meno bocciato. Ebbene, è proprio per questo motivo che la situazione non cambia. Dandoci il diritto di protestare, sono riusciti a toglierci il diritto, estremamente più nobile e sacro, di soffrire per quelle stesse idee per cui lottiamo. Hanno tolto dignità a ogni nostra azione. Perché chi ha delle convinzioni forti non ha paura di mettere a rischio la propria libertà per affermarle. Perché chi ha paura o è un vigliacco, e allora non otterrà mai alcun risultato, oppure non crede davvero nei propri ideali. E il messaggio che ne deriva è che questi ideali non hanno valore, che non sono dopotutto così significativi e nemmeno troppo fondati.

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