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lunedì 27 dicembre 2010

Gattaca:"Il migliore dei genomi possibili"

Voglio parlarvi di un film. Voglio parlarvi di un film dove non sono le scoperte scientifiche a determinare il mondo ma la capacità che l'uomo ha di gestirle. Di un film dove l'identità non si legge negli occhi ma nel sangue, dove il destino non è più destino ma programmazione. "Gattaca" è la storia di Vincent, un "nato per fede" che vive in un mondo dove gli uomini sono geneticamente perfetti, o comunque possessori del "migliore dei genomi possibili", parafrasando Leibniz. Davanti a lui, colpevole di normalità e di imperfezione, il futuro non ha prospettive, le stelle e le scienze sono un sogno lontano, la discriminazione assume tratti via via più reali e marcati. Il determinismo è la cifra del mondo e la casualità vuole essere debellata e sconfitta. Un trionfo? Il caso e la sorte hanno sempre spaventato l'essere umano e la scienza è sempre stata un eccellente mezzo per contrastarli, per capire qualcosa di più, per conoscere l'oltre. Tuttavia è il caso a salvare l'uomo. E' il caso a concedere le opportunità e a toglierle. E sarà il caso a guidare l'ascesa di Vincent, armato di nulla se non della sua volontà. Il trionfo di una laica indipendenza che non ha limiti se non nella sua stessa esistenza. La forza del sogno e del libero arbitrio. Un sogno che tocca con mano l'orizzonte e si dirige alla volta dell'infinito.

domenica 26 dicembre 2010

Ho sentito dire Natale

A natale mi rendo conto che il mondo non è altro che un grande ventricolo storto che apre le porte al conforto ma le chiude alla coscienza e alla consolazione.
A natale la città è illuminata di una luce grottesca che ruba realtà e la ricambia nell'illusione di una nuova consapevolezza.
A natale non esiste opinione perché in fondo tutto deve essere senza dubbi migliore, perché lo dice il vangelo e nessuno ne dà una motivazione.
A natale si respira la svendita dei buoni sentimenti e dell'onestà dove tutto dev'esser gratuito e poi non si fa che parlare di soldi, regali e non ditemi che questa non è venalità.
A natale la giustizia diventa un grande ricorso dove ciascuno rivendica falsi diritti e nasconde l'indifferenza sotto il nome della libertà.
A natale le famiglie s'incontrano come dopo migliaia di anni, e poi sono abbracci sorrisi parole e confidenze svuotate dove non resta che un pugno di convenzione e nemmeno un accenno di amore.
Natale non è che un ricordo, il fossile di un momento lasciato alla vita e sottratto al rimorso.
Natale è soltanto una notte più lunga di un'ora, dove il dolore si maschera di un ipocrita e falso candore.
Natale per altri è il momento dell'invidia e del rancore.
Natale per chi non ha niente è la festa di chi ha carta dorata al posto del cuore.
Natale per molti non è altro che un giorno con il suo bambino affamato che muore.

giovedì 23 dicembre 2010

Un po' di possibile sennò soffoco (Deleuze)

Quando questo mondo potrà farci sentire finalmente liberi? Libertà di pensiero e di parola. Imprescindibili, senza dubbio. Libertà di sognare. Necessaria, sì, ma fittizia. Il sogno rende tutti prigionieri, ci chiude in una cattività di irrealizzabile e impossibile. Avere grandi sogni ci aiuta a sopravvivere, ma vederli giorno dopo giorno affondati dalla realtà ci distrugge. Il sogno ci getta in un mare di orizzonti per poi farci naufragare. Siamo ubriachi di sogni. Così come di desideri. Siamo storditi dai sogni, pensiamo a volare e disimpariamo a camminare. La società ci vende sogni, nei negozi, con la televisione, nei tabacchi, tra sigarette e alcolici. Ma i sogni non hanno confezione e nemmeno la scritta "Il sogno uccide". I sogni sono come una nuvola azzurra che dispensa pace di sensi e brandelli di serenità stonata d'evidenza e d'abbandono. Ma i sogni non ci uccidono perché sono sogni, ma perché sono impossibili. L'impossibile ci abbaglia, ci trascina nella sua bellezza senza dimensioni e poi ci lascia soffocare. E i giorni diventano momenti di continui ripensamenti, un cadere ininterrotto nelle grinfie di verità dolorose da cui fuggire per dimenticare la frastornata certezza di non farcela. Forse dovremmo imparare a sognare qualcosa di possibile. Forse, questo possibile, dovremmo implorarlo e supplicarlo, come si fa con i diritti la libertà ed il pane. Questa sarà la nostra nuova rivoluzione,  questa sarà la nostra guerra e avremo come traguardo l'infinito. Perché quel giorno stringeremo in mani di speranza il nostro sogno e la sua realizzazione sarà il nostro grido.

lunedì 13 dicembre 2010

Se protesto voglio essere picchiato.

Non sono autolesionista. E non ho manie (almeno non dichiarate) suicide. Dico soltanto che sono stanca di sentire il termine diritto costantemente confuso con quello di compatente concessione. Diritto di manifestare non significa essere trattati come matti capricciosi cui basta concedere quattro vie e un paio di piazze in cui gridare, come prigionieri ciechi e affranti, il proprio perché e un mezzo destino. La protesta ha un senso nel momento in cui è percepita come un gesto forte, di sfida. E perché ciò accada deve creare scompiglio, deve provocare uno scontro. Che non significa necessariamente portare alla violenza, soltanto non evitarla. Chi protesta lancia segnali di rabbia e di contestazione, ma nel farlo non solo deve accettare, ma anche desiderare di subire delle conseguenze. Solo così il suo appello verrà ascoltato. Gli studenti occupano le scuole. Gli studenti "fanno sentire la propria voce". Niente di più falso. Il nostro è un silenzio gridato. E, perciò, inascoltato. Occupiamo e la settimana successiva ciascuno entra in classe come se nulla fosse accaduto, senza alcun rischio, nemmeno quello della critica del preside o di un professore. Facciamo un'azione illegale e la polizia ci ignora del tutto, o quasi. La verità è che siamo una generazione di protetti. La verità è che ci stanno distruggendo con una resistenza indifferente e passiva. Costantemente si sente parlare dei "mitici anni sessanta". Ebbene, negli anni sessanta la polizia sparava, negli anni sessanta gli studenti uccidevano e morivano, negli anni sessanta si finiva pestati o in carcere. Adesso noi vogliamo scendere a patti con una società che già in partenza ci ha tolto l'iniziativa. Durante le assemblee di istituto si sentono gli studenti più grandi rassicurare i più giovani dicendo di non preoccuparsi, di partecipare all'occupazione, perché tanto i professori non ti mettono cinque in condotta e non vieni sospeso tanto meno bocciato. Ebbene, è proprio per questo motivo che la situazione non cambia. Dandoci il diritto di protestare, sono riusciti a toglierci il diritto, estremamente più nobile e sacro, di soffrire per quelle stesse idee per cui lottiamo. Hanno tolto dignità a ogni nostra azione. Perché chi ha delle convinzioni forti non ha paura di mettere a rischio la propria libertà per affermarle. Perché chi ha paura o è un vigliacco, e allora non otterrà mai alcun risultato, oppure non crede davvero nei propri ideali. E il messaggio che ne deriva è che questi ideali non hanno valore, che non sono dopotutto così significativi e nemmeno troppo fondati.

PolaroidIstantaneaCeleste

Ho pensato alle ore scontate.
A quel tavolo storto che si screpola d'aria.

Tutto quanto è durato una lacrima stanca.

Ho vissuto in un tratto di pioggia
il momento del cielo rubato e della stella smarrita e nascosta.

martedì 30 novembre 2010

Voglia di infinito? Guarda la terra

Provate a guardare le stelle. Sarà come intraprendere la risalita del tempo. Perché gettare uno sguardo allo spazio significa aprire il proprio orizzonte al passato e percepirlo in tutta la sua smarrita estensione. Eppure quelle stesse stelle, apparendoci non come sono al presente, ma com'erano milioni di anni fa, perché la luce per darcene un'immagine dovrà percorrere miliardi di chilometri trafiggendo di raggi una tenebra totale e totalizzante, loro stesse, le stelle, con questa loro illusoria vicinanza ci disorienteranno. Ci renderanno tutt'a un tratto pericolosamente consapevoli della nostra solitudine. Del nostro anonimato senza menzione e senza singolarità, perpetueremo un disperato tentativo di guadagnare una centralità e ci troveremo semplicemente altri, espressione di ulteriori diversità. Ed ecco che non ci sentiremo più uomini, ma soltanto abitanti della terra. Terra. Un pungo di roccia costretto nella sua lenta fluttuazione, imprigionato ad un'orbita di inerzia e di luce,un mezzo sospiro in un urlo di oblio, sospeso tra il nulla e l'addio. Allora ridurremo i nostri sogni alla luna e le nostre speranze ad un sole già troppo lontano. Ci sentiremo svuotati del senso di tutta una vita e ci vedremo d'improvviso ancorati ad un'assenza di sogni svuotata del suo futuro e smarrita. Sentiremo il mondo come un limite e questo limite ci condannerà ad una angosciosa insofferenza. Ma forse avremo soltanto sbagliato a guardare. Forse dovremmo cambiare prospettiva. Saliremo, allora, per un istante, sulla luna. E poi ci affacceremo su quel grande nulla che sarà divenuto Universo. Davanti a noi sorgerà un grande occhio azzurro, misto di mare e di cielo, ci inonderà della luce riflessa dal sole che sembrerà un po' più vicino; emergerà dal buio come una trascendente elevazione, ci toglierà il respiro e ci soffocherà d'emozione. Immensa, assoluta, allora avremo guardato la terra. Avremo un nuovo volto in ascolto per cui sognare e cui sussurrare il nostro destino. Allora, avremo compreso l'infinito. Avremo pensato che, in fondo, il mondo ha la sua eternità, che è un pianeta un po' assurdo, dalla desolazione gridata e dalla silenziosa grandiosità. E troveremo negli oceani un'opportunità, e nelle nuvole che li circondano tutta la nostra perduta libertà. In quel momento, di nuovo, guarderemo le stelle. Aggrappati alla luna, trascinati dall'universo e dalla sua espansione, finalmente saremo parte di loro. E ci libereremo dal tempo, perché non avremo confini. Acquisteremo la consapevolezza di non avere soltanto realtà, ma anche infiniti possibili. L'eterno ci sovrasterà e ci incastonerà in una pausa di esistenza, in cui ci sarà posto per ogni nostra fantasia e tutti i sussulti della nostra incoscienza. E il mondo sarà là, a compiere la sua traiettoria, come un monito dell'ultima ora, una presenza a tratti assente e tuttavia consistente, pronto a riempire, giro dopo giro, un'altra pagina di storia. E quando cercheremo risposte nel cielo, sprofondando laiche preghiere in una notte estrema, non avremo più nessuna luna. Ma solo terra. Terra piena.  

mercoledì 24 novembre 2010

Ho preso la scossa!!!

Ho preso la scossa. Dico sul serio, l'ho presa. Questo spiega tutto, la schizofrenia imminente, la mia grande abilità nel dare i numeri la mia voglia di parlare parlare parlare.
A parte gli scherzi, non ho preso la scossa, ma è quello che farò a breve per studiare il fenomeno della macchina di Faraday o per vedere sulle mie dita comparire le piste di elettroni.
O forse per il mio compleanno... spegnerò le candeline con un fascio di elettroni! Impossibile? Sbagliato! Prendete un oggetto appuntito, magari a forma di stella. Caricatelo elettricamente e con intensità molto elevata. Ora accostatelo alla vostra torta illuminata dalle vostre bellissime candeline. Ecco, si spegneranno! Infatti le cariche elettriche tendono a concentrarsi nelle zone acuminate o appuntite, in generale nelle estremità e il loro alto tasso di concentrazione fa sì che esse sfuggano in quello che viene abitualmente definito "vento elettronico", dall'intensità sufficiente a far spegnere una candela.
Quindi, un'idea originale per il vostro compleanno... non sprecate fiato ma accendete la luce!

venerdì 19 novembre 2010

Tagli alla scuola pubblica e fondi alle scuole private? Questa è l'Italia.

Non c'è limite al peggio. Affermazione forse abusata, poco orginale ma, purtroppo, sempre molto attuale e vera. Sto pensando a quello che succede al giorno d'oggi in Italia, al nostro governo e alla condizione delle nostre scuole e della ricerca. Sto pensando alle migliaia di studenti brillanti che si ritrovano disoccupati o impiegati in lavori che non hanno nulla a che vedere con la loro formazione e le loro aspettative. Sto pensando ai finanziamenti che il Ministero dell'Istruzione ha dato alle scuole private tagliando nello stesso tempo i fondi alle scuole pubbliche. Un atto inaudito e assolutamente inaccettabile in una condizione di crisi come quella in cui versa il nostro paese. Se prima la Costituzione veniva regolarmente ignorata, adesso addirittutra viene infranta. La carta costituzionale è carta straccia. E la stessa sorte si prospetta per la scuola italiana. Laborartori inesistenti, università semideserte e abbandonate, classi fatiscenti, docenti sottopagati. E studenti disillusi, e insegnanti frustrati. Se è vero che i soldi mancano, i milioni di euro dati agli istituti privati non vengono giustificati. Compito di uno stato è quello di sostenere la sua scuola, i suoi studenti, i suoi cittadini. Perché sono gli studenti che fanno lo Stato. E' la cultura che rende forte una nazione. Tagliare nell'istruzione e nella ricerca  è non solo insensato, ma anche autodistruttivo. Deleterio, folle. Ma, d'altra parte, questa è l'Italia. Questa la nostra istruzione. Questo il futuro dei giovani. Deludente, e il presente non lascia ben sperare.

venerdì 12 novembre 2010

Buona apocalisse

Quando si inizierà ad amare
forse verrà la fine del mondo e un grande sogno espanso
durerà tutta la terra.
Una placenta di speranze ingoierà le nostre attese
fino a farle derivare
come una estrema Africa per un arcipelago di idee
nel suo naufragio.
Viviamo di illusioni, e tutto
è un anno-luce
la dimensione è quella di un orizzonte
slimitato senza altre bandiere.
                                                      Siamo tutti assurdi
                                                      legati a un vuoto d'ombra e a vortici di cenere.

domenica 7 novembre 2010

Pietre sospese e sogni di nuvole

Non ho mai creduto nelle fiabe. Ma ho sempre desiderato farlo. Lo stupore è qualcosa che nella nostra società, nel nostro mondo nostro malgrado ci sfugge. Abbiamo l'illusione di avere sempre una risposta che, anche se non conosciamo, possiamo in un modo o nell'altro trovare. La scienza è una forma di precaria sicurezza e la vita una certezza che ci toglie persino la speranza. Ogni mattino è come una ripetizione stanca di un ritornello infranto che ha perso tutte le sue parole. Un po' come la pioggia, con il suo suono sterminato che riempie di  silenzi malinconici la terra. Forse ci manca la metafora, il sogno, quella dimensione di assurda fantasia che ci strappi da un presente troppo palesato e congelato nella sua chiarezza ed esemplificazione. Perché in fondo l'illusione è una speranza e la speranza è l'attesa di una sorpresa desiderata e al tempo stesso improvvisa che ci fa sopravvivere. L'uomo ha bisogno di sognare e l'immaginazione è il mezzo per raggiungere il sogno, per imparare a vedere nella nuvola non il preludio contratto di un fulmine e di un tuono e nemmeno il volto di un grande dio nascosto pronto a punire e perdonare, piuttosto qualcosa di magico e diverso, talmente inaspettato da farci sussultare e sgomentare. Un masso enorme e sospeso tra il cielo e l'invenzione, un po' come nei quadri di Magritte densi di una poesia senza fisica o altra regola, soltanto intrisa fino all'osso di immensa sensazione. Un mare che è solo un abisso sconfinato senza fondo. Perché, per dirla con le parole di Einstein, L'immaginazione è più importante della conoscenza: la conoscenza è limitata, l'immaginazione abbraccia il mondo.

sabato 6 novembre 2010

Disordine è natura. Fare ordine, un miracolo.

Può sembrare strano, ma è così. La natura tende al disordine. E in maniera perlopiù irreversibile. Con il passare del tempo, le situazioni di caos continuano ad aumentare, prospettando un futuro a dir poco confusionario. E il tutto in parallelo ad un'espansione costante dell'universo, dove ogni cosa si allontana progressivamente dall'altra. La cosa davvero affascinante (o inquietante, per gli amanti dell'armonia e del rigore), però, è il fatto che l'atto stesso di mettere in ordine in un determinato luogo, atto che comporta l'intervento di un lavoro esterno (il nostro) e che agisce in maniera contraria al secondo principio della termodinamica, genera un aumento immediatamente conseguente di disordine in un qualunque altro punto dell'universo, sia pur esso anni luce lontano da noi. L'ordine che facciamo è dunque fittizio, un'illusione. Questo significa che non c'è nessuna probabilità che avvenga spontaneamente il contrario, e cioè che la natura decida a un certo punto di mettere un po' a posto? Nessuna no, ma certamente pochissime. Un numero infinitamente piccolo, tuttavia, non vuol dire uno zero. Quindi si può verificare nell'arco di tempi estremamente lunghi, di cui quindi l'essere umano nella sua breve vita non può fare esperienza diretta, che ci sia anche un solo piccolo istante in cui queste minime probabilità si concretizzano e in cui, ai più fortunati che hanno occasione di imbattersi in un simile evento, capita di osservare un piatto ricomporsi dai suoi cocci infranti al suolo. O una certa quantità d'acqua trasformarsi in vino. Qualcosa di inspiegabile, dunque, e apparentemente assurdo. Quello che gli uomini, per questi motivi, hanno definito "miracolo". Eppure, se noi vivessimo millenni, non avremmo forse bisogno di santi, né di invenzioni, né di divinità. Tutto quello che ora ci pare miracoloso sarebbe soltanto una bella rarità.

lunedì 1 novembre 2010

"Piccola ape furibonda"

Un anno fa moriva Alda Merini, forse la più grande poetessa italiana degli ultimi anni, ma io non scrivo per commemorarla. Io non credo negli epitaffi. Io credo nella riconoscenza e nell'onestà di giudizio. Alda Merini moriva un anno fa sola, senza nessuna forma di sussidio, in un sottoscala ai bordi del Naviglio, dimenticata. Nelle librerie le era dedicato un barlume di scaffale, le sue poesie giacevano polverose e inascoltate. Soltanto la sua morte è riuscita a suscitare la nostra attenzione. Il suo grido, per settanta lunghi anni, è restato sospeso nell'indifferenza e nell'ignoto. L'Italia è una patria sorda, forse distratta, che si ricorda dei suoi eroi solo per inginocchiarsi al loro altare. I nostri politici dispensano solo articoli postumi e funerali di stato. Alda Merini, poetessa dal cuore grande e dalla forza espressiva immensa, che oggi è simbolo di un'eccentricità magica e drammatica, prima lo era soltanto di una pazzia fastidiosa e incompresa. La sua storia, invece, è l'emblema della nostra ipocrisia. Le verità sono scomode da accettare e Alda Merini non faceva che questo, annunciare la sua verità come una laica parola evangelica. E' stata la Francia a candidarla al premio Nobel. E' stata la sua solitudine a denunciarci e accusarci quando ci ha lasciato. Noi siamo stati soltanto quelli che l'hanno fatta soffrire, quelli che le hanno insegnato a morire in manicomi intestarditi e assassini. Sempre noi, quelli che le hanno negato la fama che si sarebbe meritata e che l'avrebbe consolata, quelli che avrebbero dovuto consacrare il volo di lei, piccola ape furibonda, e che invece l'hanno martirizzata.  

domenica 31 ottobre 2010

Giro Vizioso alla Escher

La scelta mi uccide. Mi annienta. Perché scelta significa anche rinuncia e io non ho mai saputo rinunciare. Non credo sia per mancanza di inibizioni. O comunque, non solo per questo. Penso, piuttosto, sia per una qualche angoscia nascosta che si traveste di onnipotenza e si trova ogni volta disillusa. Noi tutti, giovani soprattutto, finiamo con lo scegliere. Diciamo di essere liberi, ma in realtà siamo prigionieri di quello stesso futuro che chiamiamo libertà. Non possiamo sfuggire al futuro, questa è la verità. Il passato ci sfugge. La morte comincia con l'università, proprio quando abbiamo la convinzione di essere all'apice della nostra forza, della nostra autonomia, dei nostri diritti. Tutto è una grande illusione. Così stanno le cose. Io non sono più in grado di scegliere perché non lo sono mai stata. Ci hanno dato la precisione del singolo per toglierci lo sguardo d'insieme. E questo è il primo modo per controllarci. Perché il giudizio non vive senza un'idea di completo e la creatività si spegne con il rigore. In un certo senso, è un po' un giro di Escher, un vagare vizioso che non ha più uno scopo né una missione. Noi possiamo soltanto cambiare verso, ma non più direzione.

mercoledì 27 ottobre 2010

MenteMalataAffittasi

Il mercurio è un metallo malato
Non mangiare il mercurio nel buio
non ti darà fosforescenza
la pressione si vive al mercurio
un istinto di convalescenza misurerà qualche ombra di grado
con gradini di sguardi bruciati
hai un appiglio chiamato sgomento
e fibrillazioni deluse sbancate dal vento

sabato 23 ottobre 2010

A Single Man

E adesso parliamo di cinema. Anzi, del cinema. Perché "A single man" è cinema con la C maiuscola, grande cinema per intenderci. Uno di quei film che racconta tutto in poche parole. Scene semplici, quasi abbozzate, con una discrezione vagamente annebbiata di distacco e di abbandono, un po' come George Falconer, il protagonista, l'eroe, l' "uomo solo". O, piuttosto, solitario. George è immerso in una tragedia tutta sentori e sentimenti per cui cerca un epilogo. Una trama, ormai, non gli interessa, nuovi intrecci, non lo riguardano. La morte gli ha sottratto l'amore e il pensiero della morte la vita. Si barcamena tra oblio e incertezza, tra ricordi invecchiati e affetti interrotti sul nascere. Il suicidio è la forma di una nuova salvezza.   E, arricchito di un valore tutto sacrale, viene preparato, assaporato, alimentato. Una sorta di laico calvario ad una sconsacrata crocifissione. Ha il sapore di un rifiuto, più che di una resa. Di disprezzo per una società   retta da misantropia e paura, un'umanità perdente. E poi, l'incontro. Nessun amore esagerato, all'orizzonte, nessun "vissero felici e contenti". Semplicemente, un incontro. Ed una grande fine, forse la più sincera, né lieta né drammatica. Magari inaspettata, sicuramente vera.

giovedì 21 ottobre 2010

The Wall

Forse gli appassionati si chiederanno, non senza una certa irritazione, perché io abbia inserito un post su "The Wall", il celebre album dei Pink Floyd, sotto il nome di "Poesia". Forse non se lo spiegheranno e non se ne faranno mai una ragione. Eppure c'è un senso. Quell'album è poesia. Ogni nota è nello stesso tempo idea e significato. Tutto è come un unico strumento come un grido grande ed estremo che dura tutto un fiato. E il muro è un orizzonte. O forse l'orizzonte, una frontiera da abbattere e sfondare. C'è, in ogni brano, l'angoscia crescente dell'ignoto, è come una pulsione viscerale e confusa che spinge all'oltre senza però riuscire a eludere il freno dell'ignoto. Il muro è la fuga e un interrogativo. Is there anybody out there? , recitano le parole. Rimangono senza risposta. Perché in fondo, il muro non è altro che un limite, al di là del quale ci può essere una nuova, soltanto più lontana, prigione. Abbattere il muro è un simbolo, è gettarsi alle spalle un passato in un rinnegamento totale. Ma non significa, automaticamente, scegliere un futuro. Di questo, infatti, non c'è certezza. Tutto è un grande azzardo. Andarsene diventa piuttosto il tentativo di saldare gli affetti del presente rendendoli parte di un nuovo, artificiale passato. E lo si legge tra le righe di Mother in cui si ha la sensazione di un addio essenziale ad una forma altra di amore. Non c'è né disillusione né speranza. Solo azione e rifiuto e desiderio. E l'epilogo ha per musica una pioggia. E nessun arcobaleno.


Pink Floyd - The Wall - Mother

domenica 17 ottobre 2010

Slava, pagliacci e dinamo stellari

Un pagliaccio, ti hanno detto. Il pubblico viene coinvolto, questo ti ha anche un po' inquietato. Ed in effetti il coinvolgimento c'è, ma su più piani. Ora è una musica possente e trascendente, che ti riempie nervi e cuore di una dimensione drammaticamente magica, ora è una ragnatela che ti avvolge e ti sommerge in un onirico trapasso. E poi, sempre, in ogni istante, il suo sorriso, non quello della maschera da clown senza espressione e sentimento, ma quello dei suoi gesti, della sua mimica, del suo anelare ad un sogno altro e sconfinato che lo sottragga ad una realtà di solitudine e abbandono. Slava è il nostro emarginato, il giocoliere del proprio destino, il vagabondo che scherza col mondo e ne dà una sua versione. Slava è la solitudine senza radici di cui abbiamo paura, il volto contratto in una smorfia di inquietante sghignazzo che fa rabbrividire e sorprendere a un tempo. L'apolide senza sostanza che trova in un cappotto svuotato l'allegoria del proprio bisogno d'amore. Il surrealista che cavalca la sua poesia tempestosa su un letto di ferro e per remo una scopa, che apre i battenti del tempo per scaraventarsi in un viaggio senza quando né dove. Slava trova la sua laica ascensione in una tempesta di carta e di luce, in una grande, immensa dinamo stellare, piena dei suoi lirismi e delle sue esplosioni, in un grido che ha in sé ogni speranza e tutte le invocazioni. In una cascata di sterminati e colorati palloni.

giovedì 14 ottobre 2010

Tutta colpa della parafrasi

Uggiosa mattina di novembre. Una classe fredda che ospita persone altrettanto fredde e contrite. Un professore seduto alla cattedra che si domanda silenziosamente il perché delle sue lezioni. Gli studenti che, altrettanto silenziosi, condividono il dubbio. Dante, il grande Dante, il sommo poeta. Poeta, appunto. Non prosatore. Eppure si finisce sempre per rendere il poema una grande omelia senza ritmo nè versi. Tutta colpa dei professori? Degli alunni disinteressati? Della nebbia milanese? Io direi, piuttosto, tutta colpa della parafrasi. Perché parafrasare? In fondo Dante è italiano, in fondo la bellezza della Commedia sta nella lingua e nella ricerca lessicale che, riletta in una chiave semplicistica e semplificata, si perde del tutto, e quello che ci resta è un astruso e filosofeggiante viaggio ai confini del mondo e del tempo. Qualcosa che, giustamente, non può che apparire noioso, o comunque distante, lontano. Dante tocca i cuori dei lettori con le parole crude e rabbiose dell'inferno, con le sue sterpi che diventano "bronchi" lasciando trapelare un'angoscia esistenziale e tutta umana. La parafrasi è il disperato tentativo di rendere la poesia prosa. Ma la prosa è la morte della poesia. Perché la prosa, in quanto tale, associa alla lingua la potente arma del messaggio e del significato, la poesia associa al messaggio la potente arma della lingua. Rendete una poesia prosa, e avrete il relitto di un capolavoro. Un albero spoglio, una montagna cava. La bellezza della poesia sta, a volte, anche nel suo non essere del tutto compresa. Nell'ombra di mistero che ci induce ad intraprendere l'inconscio viaggio dell'interpretazione. E per Dante ciò vale più che per tutti gli altri poeti. Non sono le digressioni di astronomia e le sante parole della fede ad aver reso la Commedia uno dei maggiori capolavori. Sono le urla dei dannati, le preghiere dei pentiti e le estasi dei beati; le loro parole tormentate e l'umanità dei loro insulti. Perché la Commedia è il viaggio dell'uomo. E' la legge del mondo, dei Sommersi e salvati.

lunedì 11 ottobre 2010

Basta viverlo

Una delle poche cose che danno davvero soddisfazione nella vita è avere la consapevolezza di dare un contributo e di fare qualcuno felice. Non importa chi sia il destinatario del nostro aiuto e nemmeno chi sia questo qualcuno, quello che conta è trovare un senso nelle azioni. Non so nemmeno perché io stia scrivendo questo post, non so nemmeno cosa davvero io stia facendo che giustifichi questi pensieri. Ma forse la forza del nostro mondo, per molti aspetti contraddittorio e pieno di errori, criticato e deludente, invaso da mass media e da comunicazioni troppo veloci e spersonalizzate, questo nostro mondo che i vecchi chiamano superficiale e i giovani senza speranze, la sua forza, dico, sta proprio in questo, nella potenza di un'informazione che giunge in tutte le case e di una parola che ha la vitalità della divulgazione. Nella condivisione. Forse questo mondo può farci sentire meno soli. Basta viverlo.

domenica 10 ottobre 2010

L'Urlo

Mi decompongo in cerchi di parole.
Il mio orizzonte è una savana aguzza
che mi abbaglia.
Ho onde di respiro,
che vibrano un richiamo.
E un grido sfigurato. E il viso in una mano.

MB

sabato 9 ottobre 2010

Moduli, Einstein, e cose complicate.

Viviamo in un mondo di menti semplici che irretiscono trame sempre più contorte e inutilmente complicate in cui si intrappolano. La nostra è l'era del formalismo. E dei moduli. Ci si vuole scrivere a un'università, bisogna mandare richieste su richieste, dati su dati, raccontare tutto, da quel bellissimo giorno in cui si è nati, a come si trascorre il sabato sera quando piove. Il che va a discapito della lucidità e dell'efficacia. Le grandi verità non sono mai troppo complesse. Non sono nemmeno soluzioni semplici. Sono le più semplici. La scienza, dalla chimica alla fisica, si regge su modelli idealizzati forse, ma fondati sull'estetica della linearità e della limpidezza. Non sempre la soluzione più semplice è quella più immediata. La semplicità, paradossalmente, è in un certo senso la cosa in assoluto più difficile. Forse perché è lontana, forse perché ha quel grado di assoluta perfezione che ce la fa sembrare impossibile. E non mi resta che concludere con le parole di Einstein, per cui la filosofia e la scienza furono sempre una cosa soltanto e il mondo una grande magia da dimostrare: "Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la realizza."
Forse è giunto il momento di essere anche noi un po' più sprovveduti.

I prigionieri cantano

Non ho pensieri.
Siamo tutti anime dolenti e abbiamo come criterio
il pentimento.
Io, non parlo.
Mi rincrescono le voci delle celle
che mimano amnistie
con morte piastre mute.
Abbiamo speso un sogno.
Adesso siamo soltanto ombre di epoche vissute.

M. B.

giovedì 7 ottobre 2010

Stavo pensando alla democrazia ...

Stavo pensando alla democrazia. La democrazia si basa sulla libertà e sulla partecipazione. La democrazia si basa sull'uguaglianza. Attualmente noi votiamo ma non partecipiamo. Il diritto di voto ha assunto ormai le fattezze di una gentile concessione che il potere ci ha dato per controllarci. Ciò che dovrebbe garantire il nostro pieno coinvolgimento nelle vicende governative è proprio la cosa che ci impregna di tutta la sua ipocrisia. Lassù, dove l'uomo semplicemente cittadino non potrà mai arrivare, lassù hanno adottato una strategia che, a malincuore, ammetto essere vincente: ci danno la scelta, ma ci tolgono le opzioni. Lo so, è paradossale, ma se si candidasse da ciascun fronte politico un potenziale sovrano, noi lo voteremmo. Con quello stesso diritto di voto che dovrebbe tutelare la sovranità popolare, noi eleggeremo la nostra nuova dittatura. D'altra parte siamo noi che abbiamo permesso tutto ciò. Noi, con i nostri sbagli. Siamo noi che di sera accendiamo la televisione e guardiamo programmi senza cultura e senza pensiero rimpinguando le casse di imprenditori che "al posto del cuore hanno salvadanai", per dirla con le parole di De André. Siamo  noi che leggiamo letteratura commerciale accontentandoci di un non sapere che si spaccia come divulgazione proletaria. Noi abbiamo commesso il grande errore della superficialità e adesso ne stiamo scontando la pena. Siamo stati stupidi e adesso siamo nelle mani di chi è stato più intelligente, ma nella maniera sbagliata. L'intelligenza ha due volti. Anche tra i geni ci sono sempre stati i buoni e i malvagi. Dobbiamo riscoprire una nuova saggezza. Prima però, ci serve una consapevolezza.

mercoledì 6 ottobre 2010

Arte o Storia dell'Arte?

Io amo l'arte. Ma non la storia dell'arte. E' vero che le opere vanno inserite nel loro contesto storico-culturale, ma è anche vero che ognuna di esse è portatrice di un significato forte e ben determinato di per sé. I capolavori, quelli che sono davvero tali, sono senza tempo. Trascendono ogni epoca e barriera cronologica. Chiunque leggendo Foscolo o l'Infinito di Leopardi non può restare impassibile ed inerte, ma viene preso da una sospensione lirica e drammaticamente inconsapevole anche non avendo mai studiato l'ottocento o il romanticismo. I classici sono senza età. I classici vanno oltre. Perché portano un messaggio universale in cui si può riscontrare ogni fruitore, a prescindere dalla sua esperienza esistenziale e dal suo presente. I classici, nella pittura come nella letteratura, commuovono e sorprendono senza bisogno di precedenti o di contestualizzazioni, bastano a loro stessi. Il gruppo del Laocoonte continuerà sempre ad esprimere la sua ardente passione e l'Odi et Amo di Catullo non cesserà mai di essere icastica metafora di ogni amore e della sua contraddizione. E questo al di là di tutto. Di ogni analisi e di ogni lezione.

Urlo

Uno di quei film su cui si sentono all'uscita dal cinema i commenti più disparati. Uno di quei film che la gente un po' superficiale e non troppo sensibile giudica noioso. Un grande film, ma complesso. Un grande film su un capolavoro della poesia moderna. Tre piani narrativi, tematiche profonde ed eticamente contorte, tanta poesia. Ginsberg pubblica "Urlo" negli anni del secondo dopoguerra e deve fare i conti con una società che mira al nuovo ma ancora fortemente legata ai canoni del passato. Con una letteratura forse non ancora pronta a uno sconvolgimento lessicale e contenutistico radicale che la stravolge nei suoi fondamenti più antichi e fino a poco prima inattaccabili. Ci sono parole dure, una trivialità ardente che ritrae il mondo nella sua cruda inadeguatezza. Si gioca con il sacro per renderlo un tripudio di invocazioni blasfeme. Si consacra il profano per farne la bibbia di una nuova generazione. Una Beat Generation prorompente e impertinente, sempre giovane e insaziabile, con un germe di vecchiaia nel suo decadentismo trascendente. La lotta del poeta è in ogni verso. Il grido della sua emancipazione in ogni immagine. Si profila il volto di un'America chiusa e al tempo stesso preda di un cambiamento inarrestabile. Un'America in cui l'omosessualità è una colpa e dove infrangere i canoni è un delitto angoscioso, eppure necessario. L'inevitabilità della parola si confronta con il conservatorismo del potere. Urlo è un libro "immondo" e deve essere condannato. Il cittadino, vedendosi riflesso in un inno alla sua umana e ferina grettezza, ripara in una laica inquisizione. Intellettuali e potere, tradizione e riforma, ordinarietà e rivoluzione. E il tutto con voli pindarici e animazioni oniriche sullo sfondo. E la guida pazientemente combattiva dell'autore che, in un'intervista che lascia in chi l'ascolta spettacolo e emozione, dà una ragione dell'eccesso e smaschera la verità del mondo.
Urlo - Il trailer del film

martedì 5 ottobre 2010

Il volto della guerra

Il volto della guerra è senza fiato.
Sulle labbra ha un grido d'ombra e il fossile di un bacio.
Ha un paio di occhi chiusi che chiedono
di esser ciechi.
A illuminarli è l'ombra di sogni vuoti e spesi.
Un cielo rarefatto di strazi e di perdoni.
E tra i denti desolato un pianto di abbandoni.
Dalì - Il volto della guerra

M.B.

Scienza estetica e acqua sferica

E poi non mi vengano a dire che la scienza non è arte. E che le materie scientifiche non hanno nulla a che vedere con quelle umanistiche. La scienza è estetica. La natura è estetica. E infatti l'arte si è sempre ispirata alla natura. Esempio evidente sono le forme che organismi e sostanze tendono ad assumere. Pensiamo a qualcosa di perfetto: ad un cerchio, ad esempio. Ora trasliamolo in un piano tridimensionale e rendiamolo "sfera". Bene: cosa c'è di più estetico e calibrato di una sfera? Nulla, o molto poco. E adesso pensiamo all'acqua. Un infinito numero di atomi di ossigeno e di idrogeno. Disordinato? Caotico? Assolutamente. E, guarda un po', non solo in essa vige un ordine preciso e inderogabile, ma le gocce d'acqua sono sferiche. O comunque tendono alla sfericità. In un litro d'acqua ci sono miliardi di miliardi di gocce. E tutte condividono la loro eterea perfezione. Sono quasi trascendenti. Chiedersi la causa che determina una così grande precisione è legittimo: ebbene, può sembrar strano, ma si tratta esclusivamente di un gioco di forze d'attrazione. In un liquido, infatti, le molecole interne al fluido subiscono l'azione di tutta una serie di forze esercitate dalle molecole vicine. Per ragioni di simmetria le forze si annullano tra loro e sono in uno stato di equilibrio. Una sorte un po' diversa spetta però alle molecole che si trovano in superficie: esse infatti per metà sono esposte all'esterno e non subiscono alcuna forma di attrazione, se non dalle molecole sottostanti o laterali. Il liquido, quindi, tende ad assumere la forma che consenta di avere la minore area superficiale. E cosa meglio di una bella sfera? Nella sfera la superficie di contatto è minima rispetto agli altri solidi a parità di volume. E quindi viene preferita alle altre. Se questa non è arte, non avrei davvero altre parole per darne una più efficace definizione.

lunedì 4 ottobre 2010

A Stoccolma si deve chiedere il permesso del Papa ...

4 Ottobre 2010: Robert Edwards riceve il premio Nobel per la medicina per la scoperta e lo sviluppo della tecnica di fecondazione in vitro. Riconoscimento assolutamente meritato e del tutto giustificato. Questa è l'opinione comune o, almeno, lo dovrebbe essere. D'altra parte, perché non premiare uno scienziato che ha permesso con le sue ricerche alle coppie sterili di avere figli e di esaudire il sogno di molte aspiranti madri? Ma il Vaticano non ci sta. La sua reazione ha un tono di protesta quasi indispettito. "Sono state ignorate le problematiche etiche". Etica. Di fronte al progresso la Chiesa non dice altro che questo: Etica. Ma cos'è davvero quest'etica di cui tanto si sente parlare, di cui vescovi e politici si riempiono la bocca perdendo l'opportunità di molti e più utili silenzi? A rigor di logica l'etica è lo studio dei comportamenti umani e l'analisi dei costumi. Analisi che, con il corso della storia, si è arricchita di tutto un complesso ed inevitabile sostrato morale. Ma per discutere in ambito etico bisogna avere dei principi da difendere. Avere una tesi è il punto di partenza per ogni tipo di argomentazione. Il Vaticano una vera tesi sembra quasi averla persa in un avvicendarsi di febbrili e sconnesse recriminazioni. Si era opposto all'aborto nella ferma convinzione che spettasse solo a Dio il diritto di disporre della nostra esistenza, nascita compresa, e poi aveva condannato l'eutanasia che, nella maggior parte dei casi, è un po' come un aborto ma al contrario. La sola differenza è che ad essere imposta è una non-vita, nel caso dell'aborto una non-morte. Adesso si scaglia contro la fecondazione artificiale, quando fino a poco tempo fa ha condotto una tenace campagna contro la contraccezione perché precludeva a potenziali bambini di venire al mondo. La fecondazione in vitro, in un certo senso, fa nascere bambini che altrimenti non potrebbero nascere. Dona la vita là dove è negata. Dov'è il male? Dove il peccato? Dove lo scandalo che destabilizza la Chiesa? Tuttavia credo che, prima di dare una risposta a queste domande, sia necessario una volta per tutte sciogliere un gran dubbio, uno di quei dubbi storici e dal valore quasi esistenziale, un dubbio che assilla l'uomo da ormai duemila anni: "Esiste Dio o la Chiesa?". Per ora, di Dio nessuna traccia, della Chiesa un tradizione senza tempo di demagogia e di corruzione.

Levi, MINIMAL e Poesia

Vi è mai capitato di aprire un giornale e di leggere articoli contorti ed ermetici, traboccanti di figure retoriche e di metafore spesso forzate, con parole direttamente mutuate dai romantici dell'800 e frasi che durano una ventina di righe con un solo punto e, quando si è fortunati, un paio di virgole?
O di leggere incipit di romanzi con sezioni descrittive di una decina di pagine, irte di fronzoli e manierosi artifici, che si dilungano in contemplazioni di cieli banalmente scuri e stellati?
A me sì, e anche molto spesso. Questo, signori, non è saper scrivere. Questo è uno sfoggio intellettuale ed erudito fine a se stesso. Il vero stile è agile, sferzante e in un certo senso quasi nervoso. Come una serie di fotogrammi. Colloquiale a tratti, ma mai scadente. Intuitivo ma non banale. Lo stile di Carlo Levi, insomma. O di Saramago. Aprite la prima pagina di "Cristo si è fermato ad Eboli" e non potrete far altro che rimanere sconvolti di fronte ad un'immediatezza espressiva tanto sconvolgente. Quasi lapidaria. Siamo nell'epoca dell'essenziale e dell'effetto. Delle pubblicità  e delle comunicazioni. L'epoca "minimal", per dirla come un mio amico impiegato nel design. Quello che serve è eleganza. Essenza. O forse, poesia.

mercoledì 9 giugno 2010

Per chi ha fatto amare il diavolo


Dante, Tasso, Milton, Goethe. Non c'è nulla da fare, il signore del male e il suo regno delle tenebre hanno affascinato gli scrittori e i lettori di tutte le epoche e di tutte le culture, al di là di ogni forma di morale o di credenza religiosa. Anzi, la figura del diavolo ha alterato in maniera irreversibile l'idea stessa di etica, dando per la prima volta voce, e non senza una certa autorevolezza, all'orgoglio del peccato e all'onore dell'immoralità che, al contrario dell'amoralità, ha in sè comunque i tratti di una presa di posizione. E non ci si deve dimenticare che il fatto stesso di schierarsi, anche se nelle file del malvagio, venne preferito da Dante a chi invece si crogiola in un'inerzia senza dignità ed ideali.
Il diavolo nelle varie opere ha cambiato volto, da mostro tumido di bestialità e informe è diventato portento misteriosamente macabro, da esiliato profugo e ribelle, fiero sovrano di un popolo sconfitto. E ne è stata celebrata la spiritualità contorta e invereconda, la violenza grottesca e irsuta, l'astuzia volubile e ingannevole e un'onniscienza diabolica che comprò l'anima di un Faust e la fece sua serva. Ma nessuno ha mai parlato d'amore. Di un diavolo innamorato, non si è mai letto. Ma il fatto che non se ne sia letto, non significa che non se ne sia scritto.
Si chiamò Michail Lermontov. "Il demone" fu la sua opera. Nacque in Russia. Lo uccise il suo romanticismo.
Questo il suo epitaffio. Questa la sua pietra tombale. E il suo diavolo scopre l'amore, ama e il suo amare lo sconfigge, ma in lui resta viva la violenza, che lo ingabbia, nelle vesti di passione lo conduce alla conquista, ma poi lo inganna e lo fa crollare. Per la prima volta il diavolo è l'uomo, la passione è un nuovo male, un nuovo nemico, una forza oscura che asseconda la ragione e poi l'affonda. E il tutto calato nell'icasticità della poesia e nella malinconia vibrante del poeta.

Per leggere un estratto del poema, guardate questo filmato:



lunedì 7 giugno 2010

Morirai: è già scritto.


Come ci si dovrebbe sentire scoprendo di avere il potere di decidere della morte di una persona, di sceglierne l'ora, il giorno e le modalità? E di poterlo fare senza alcun limite di sorta, ma con la macabra consapevolezza di quanto la propria azione sia ineluttabile? Con la certezza, insomma, di non poter tornare indietro? Esattamente come Light Yagami, uno studente annoiato del vivere e dell'ordinarietà della vita stessa, che si trova in possesso di un quaderno nero di cui non sa nulla se non che è intitolato "Death Note" e che ha in sé l'inesorabilità del destino...




Vediamo col cervello, non con gli occhi!

Vedere non significa soltanto recepire informazioni dall'esterno, ma anche interpretarle. Anzi, soprattutto interpretare. Ed è qui che entra in gioco il nostro cervello. Quando sogniamo vediamo cose che in effetti non ci sono, ma che a noi sembrano essere. Perché non sono i nostri occhi a guardare, ma la nostra mente. Ed ecco che si spiegano anche le allucinazioni. Il caro vecchio occhio ha perso tutte le sue prerogative? O ha confermato quella definizione un po' abusata di "specchio dell'anima?" A dare la risposta sarà Oliver Sacks, noto neurologo e abile divulgatore della scienza, che, analizzando con lucida dolcezza le vicende di alcuni suoi pazienti, traccerà la magia del cervello umano, e il suo sogno e la sua immaginazione, con la chiarezza dello scienziato e l'onirica delicatezza del poeta.

domenica 6 giugno 2010

Perchè questo blog?


" Uno studioso al microscopio vede molto più di noi. ma c'è un momento, un punto, in cui anch'egli deve fermarsi. Ebbene, è a quel punto che per me comincia la poesia".

Questo è Renè Magritte. Un pittore che trascese la realtà e anche l'immaginazione, per fondere entrambe le cose in un binomio travolgente che fu chiamato, per tentare di circoscriverlo e di farlo più umano, "surrealismo". Oltre la realtà, insomma, ma non al di fuori di essa. Credo che queste parole rendano meglio di molte altre il concetto di poesia. E non è un caso che a pronunciarle sia stato un pittore e non un poeta. Esse sono il manifesto dell'universalità della poesia, che non è una disciplina o una sfera d'interesse, quanto piuttosto un mondo altro, a cui si arriva dopo aver oltrepassato il limite della convenzione. Una sorta di "al di là" comune a tutto il sapere. Anche alla scienza. Scienza che non si deve fermare "al microscopio" ma che deve mirare all'idea, alla genialità e all'intuizione.

Il blog e la decisione di realizzarlo è nato proprio da questa esigenza di fondo: identificare la poesia laddove essa si presenti, smascherarla e renderla qualcosa di concreta e di percepibile. Trovarla nella scienza, nella musica, in qualsiasi forma d'arte. Senza un limite. Perchè, come disse Albert Einstein, "La conoscenza è limitata, l'immaginazione abbraccia il mondo".